Villa Favorita 2015, il racconto naturale

Articolo pubblicato a aprile 2015 su LorenzoVinci.ilgiornale.it (https://bit.ly/2VzhENf)

L’anno scorso mi ero ripromesso di tornare a Villa Favorita 2015 (il salone organizzato da VinNatur dal 21 al 23 marzo) dedicandoci due intere giornate per poter onorare tutti i produttori presenti., ma si è rivelata una promessa da marinaio!

Sono sempre più convinto che a questa manifestazione si possa e si debba dedicare maggior spazio e tempo, ma che la concomitanza con altri eventi enologici nella stessa settimana renda questo molto difficile.

Un vero successo questi dodici anni di Vino Naturale, con un buon 15% in più di presenze rispetto al 2014 raggiungendo i 3.500 visitatori.

Un forte appeal anche verso il mercato estero lo dimostrano i 330 importatori stranieri accreditati.

Gli operatori del settore si sono potuti concentrare sulle degustazioni professionali senza fretta né confusione grazie alla Tasting room a loro riservata. Io al solito ho preferito gironzolare, avanzare tra la folla per guadagnarmi l’attenzione dei produttori e riuscire a “sentire il vino” grazie ai loro racconti e al reciproco scambio di opinioni e idee.

Sempre più numerosi i produttori associati a VinNatur, che proprio quest’anno ha visto l’ingresso e il debutto di trenta nuove realtà.

Inizio il mio winetour dirigendomi subito verso il banchetto di Antonio e Flavio di Cà del Vént, attratto da un’etichetta ancora a me sconosciuta. Mi dico: “Ah che bello!In solo poche settimane questi ragazzi presentano ancora una nuovo vino, dopo l’anteprima del Brut Pas Operé 2011 degustato pochi giorni fa”.

Lo assaggio, mi piace molto. Un vino prodotto da un’azienda di sette ettari ma che per sua fortuna ha ben 13 micro-zone o cru su cui contare.

Come al loro solito Antonio e Flavio, sempre sul filo del rasoio, hanno assemblato ben 22 basi spumanti per dar vita a questa meraviglia che affinano in barrique, 75% chardonnay e 25% Pinot Nero, circa 36 mesi sui lieviti, un metodo classico molto elegante seppur intenso, sentori di fiori, agrumi e litchis, minerale. In bocca è fresco, sapido, persistente con un finale leggermente amarognolo. Probabilmente la loro migliore annata prodotta fino ad oggi.

La sorpresa vera è stata sapere di avere di fronte il Franciacorta Brut Pas Operè millesimato 2011, proprio quello escluso dalla commissione esaminatrice che non l’ha reputato idoneo ad essere un Franciacorta DOCG per evidenza di squilibrio al’olfatto e al gusto! Di fatto quindi nessun nuovo spumante, ma il “solito” vino della Càsa, che Antonio e Flavio hanno ribattezzato L’Escluso per l’ ”occasione”. Chissà se è stato escluso perché assomigliava di più ad uno champagne che ad un franciacorta.

Ma un piccolo appunto però lo farei al consorzio, magari è il momento di difendere maggiormente la “Biodiversità del loro terroir”, intesa anche come diversità di gente, di modi di interpretare il vino, che sia biologico, biodinamico, naturale, artigianale, artistico. Il bello è poter scegliere, avere la possibilità di vedere, capire, sentire e degustare tutte queste sfaccettature della Franciacorta! Ma questo rimane sempre e solo un mio appellabilissimo parere, e “L’Escluso” è Franciacorta, e scherzosamente lo si potrebbe rinominare “Per molti ma non per tutti” (ogni riferimento è puramente casuale).

Naturalmente la vicenda era già nota agli enoappasionati ma è questo stato solo il mio personalissimo modo di raccontarla.

Pochi centimetri più in là e mi sono ritrovato in Francia, in Champagne, precisamente nella Vallée de la Marne, dove sin dalla fine del 1700 la famiglia Tarlant produce i suoi champagne. Tra i pochi che ancora coltivano Pinot Blanc, Petit Meslier e Arbanne oltre naturalmente ai tre vitigni classici (Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier). Champagne prodotti da vecchie vigne, fermentati e affinati in barrique o piccole botti. Solo tecniche naturali come ad esempio quelle per la chiarifica e nessuna fermentazione malolattica.

Quattro le etichette in degustazione. La prima è Zero Brut Nature 2007 con aggiunti di vini di riserva 2006, 2005 e 2004, composto di un terzo di Pinot Noir, un terzo di Pinot Meunier ed un terzo di Chardonnay. Come seconda il nuovo millesimato “La Matinale”, un Brut Nature 2003 (28% Chardonnay, 45% Pinot Nero e 27% Pinot Meunier). Quindi il “BAM! – Blanc Arbanne Meslier”, Brut Nature 2007 e 2008, assemblato proprio con i tre vitigni minori dello champagne (rispettivamente 18%, 18% e 64%). Uno champagne fuori dal comune ma che vuole essere testimone dell’espressione più spontanea possibile di un passato un po’ dimenticato. Infine l’omaggio al fondatore della Maison Louis Tarlant, il “Cuvée Louis” un Extra Brut (85% vendemmia 1999 mentre per il restante 15% uve da vendemmie 1996, 1997 e 1998) da Chardonnay e Pinot Noir (50 e 50). 15 anni e non sentirli, di estrema eleganza sapidità mineralità e struttura!

Sempre “bollicine sur lie” con direzione Veneto, nella zona storica del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene DOCG e precisamente a Terzo, nella frazione di Costa di là, per degustare i vini rifermentati rigorosamente in bottiglia di Costadilà Articoltura, l’azienda agricola fondata nel 2006 da Mauro Lorenzon “Il Mentore” e Ernesto Cattel seguendo le tecniche del metodo biologico e lavorando in cantina solo secondo metodi tradizionali, solo lieviti indigeni e senza solforosa aggiunta.

I primi due vini sono dei prosecchi col fondo, il “450 slm” e il “280 slm”, ovviamente glera in purezza, il nome si riferisce all’altitudine dei vigneti.

Il primo è stato macerato sulle bucce per tre giorni, fermentato a temperatura non controllata con lieviti indigeni e affinamento sulle fecce fini per 5 mesi.

Il secondo è più un orange wine, evidente anche dal colore, lavorato come facevano i vecchi del luogo, uve bianche come se fossero rosse, quindi macerato per circa un mese, imbottigliato senza filtraggi e rifermentazione in bottiglia con aggiunta di torchiato di stesse uve lasciate in appassimento fino a marzo.

Per entrambi ci sono tre modi per berli: il primo modo è di iniziare a berlo limpido e poi man mano che ci avviciniamo al fondo della bottiglia lo berremo molto torbido.

Il secondo modo è di scaraffarlo lentamente in modo da separare il vino dal residuo dei lieviti.

Mentre il terzo è di capovolgere la bottiglia, facendo in modo che i lieviti si distribuiscono nel vino intorbidendolo e bevendolo come si faceva un tempo.

Mi han colpito due altri vini presentati da Ernesto e provenienti dall’isola croata di Susak o Sansego. l’isola di Sabbia del Golfo del Quarnaro. La vite si coltiva da secoli, ma negli ultimi anni era stata abbandonata, i suoi vini sanno di vecchio mondo antico, tutti vitigni a piede franco.

Il Sansego Bianco è un vino secco da Moscato giallo molto sapido e salmastro e con una vena leggermente dolce, il Sansego Rosso è un assemblaggio di Refosco e Merlot, molto morbido che ben si adatta ai piatti tipici del territorio isolano.

Salpando da un’isola all’altra si approda in Sicilia, a Marsala e a Pantelleria dove, un bel po’ di decenni fa Marco De Bartoli decise di dare nuovamente lustro al Marsala, facendo andare a braccetto radici, territorialità, innovazione e tirando fuori dall’oblio quello che ormai stava diventando il vino della massaia, creando così degli autentici capolavori.

Oggi i suoi tre figli, Renato, Sebastiano e Josephine portano avanti gli insegnamenti che gli ha lasciato il padre.

Si parte con la TerzaVia del Grillo, cosa significa? Semplice, era il terzo modo di vinificare questo, un metodo classico ancestrale, il 50% del vino base affina per dodici mesi in barrique e tonneau di rovere francese sulle proprie fecce, mentre il tiraggio è fatto con aggiunta di mosto fresco.

Il secondo assaggio è il grillo in purezza secco “Grappoli del Grillo 2013”, un vino di grande struttura corpo e longevità, ogni grappolo è selezionato manualmente, la fermentazione inizia in vasche d’acciaio ma finisce in barrique, tonneaux e piccoli fusti sempre di rovere francese. Affina dodici mesi sulle proprie fecce nobile ed invecchia altri sei mesi in bottiglia.

Direzione Pantelleria per puntare allo zibibbo, ma non il classico passito, ma una versione secca da tavola, il “Pietranera 2013”, sicuramente innovativa rispetto alla classica produzione, prodotto da vecchie vigne, solo un terzo fermenta in barrique per preservare le note aromatiche e minerali.

Nella versione “Integer 2012”, ritornano le vecchie tecniche di vinificazione, senza il controllo della temperatura, non filtrato, quindi più integralista, grande struttura e complessità, al naso forse meno elegante ma in bocca si mastica la terra di Pantelleria.

Si termina con i marsala che, nella versione di De Bartoli, hanno la caratteristica di essere poco fortificati e accumunati da lunghi invecchiamenti.

Dapprima una versione innovativa, più contemporanea, nata per esaltare le note fruttate e più delicate del grillo, “Vigna la Miccia Marsala Superiore Oro 5 anni”. Personalmente un marsala sorprendente, un gusto nuovo che probabilmente strizza l’occhio alle nuove generazioni ma senza perdere il legame con il passato.

Si prosegue con il “Marsala Superiore Riserva 1987”, l’anno della fortificazione, oltre 20 anni in fusti di rovere. Un marsala ancora amabile che ben si accompagna ai tipici dolci siciliani.

E si finisce con il marchio di fabbrica, quel “Vecchio Samperi Ventennale”, invecchiato con il metodo soleras ed ovviamente senza aggiunta di mistella. Fresco come il vento, caldo come il sole, sapido come il mare, potente come la terra. Un concentrato di Sicilia!

Dulcis in fondo, il passito di Pantelleria. “Bukkuram Sole d’Agosto 2012” e il “Bukkuram Padre della Vigna 2008”, quello delle grandi annate, i grappoli di zibibbo per metà essiccano su appositi stenditoi e per l’altra metà sulla pianta, per poi affinare oltre 30 mesi in piccoli fusti di rovere. Un mondo e millenni di storia condensato in una piccola bottiglia!

Vinnatur è stata anche l’occasione di conoscere due giovani “talent scout” che insieme hanno dato vita a Vite, una realtà di distribuzione nata per raccontare il lavoro dei produttori ed il legame con i loro territori, attraverso il semplice gesto del bere. Loro non vogliono incanalarsi nell’etichetta naturale, non perché non ci credono ma perché non è il criterio della loro selezione. Puntano su un vino che esprima il terroir, cioè suolo, vitigno, l’annata ma soprattutto il suo artefice, il produttore, che imprime il proprio marchio di fabbrica, la sua interpretazione, quella che ad Andrea&Andrea piace chiamare la “patte du vigneron”.

Tra le etichette degustate, gli champagne di Charlot Père et Fils ma soprattutto quelli di Jeaunaux-Robin, il Cremant du Jura dei Domaine de la Renardiere, o il suo Chardonnay in purezza Les Vianderies 2011 fermentato e poi affinato sempre in barrique per almeno18 mesi. Acqua di mare concentrata! Per chiudere in bellezza con la Cuvée “3” 2009 dei Domaine de la Pépière, 100% melon de bourgogne, tre anni ‘sur-lie’ in vasche di cemento. Cosa c’è di meglio di un Muscadet Sevre-et-Maine e ostriche? J

Oltre ai citati, porterò con me il ricordo delle bollicine franciacortine di Casa Caterina e del suo prode alfiere Aurelio, i rossi del’Etna di Frank Cornelissen e dei Monti Iblei di COS, l’Ovada di Rocco di Carpeneto e il Don Chisciotte di Pierluigi Zampaglione che nell’Alta Irpinia combatte lo strapotere delle pale eoliche con il suo Fiano

Questa volta nessuna promessa, ma solo l’augurio che altri produttori possano intraprendere il cammino già solcato da altri.

[Photo Credit: Antonio Cimmino]
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