Villa Favorita 2017, tutto il naturale del vino

Articolo pubblicato a maggio 2017 su LorenzoVinci (https://goo.gl/uSVvKp)

Quel sottile filo naturale che lega i 183 vignaioli di tutto il mondo aderenti a VinNatur, l’Associazione di viticoltori naturali nata nel 2006, punta a difendere, in primo luogo, l’integrità del proprio territorio ma deve difendersi da una miriade tra espliciti e subdoli pericoli.

La sua identità viene quindi continuamente minata da diversi fattori quali i vari detrattori, le differenze (ancora evidenti) tra vini di una qualità suprema e altri spesso mediocre, le scelte fatte più per moda che per convinzioni, il “finto bio” (senza il logo “Euro-Leaf”!), il “vero biologico” (quello con l’acido citrico, l’acido ascorbico, il citrato di rame, la colla di pesce, il gel di silice, le gelatine, la gomma arabica, il fosfato diammonico, le chips di legno di quercia, il solfato di rame e tanti tanti altri e per di più “imbottigliato” in brick), le avversità atmosferiche e l’industria che è sempre dietro l’angolo a copiare, imitare, rendere convenzionale tutto ciò che tocca.

È così che oltre che in vigna, questi vigneron che scelgono la “natura” in ogni sua forma, devono lavorare uniti, indipendentemente se appartengono o no alla stessa associazione, e prendere spunto dai francesi e dalle loro due principali associazioni, la AVN–Association des Vins Naturels, (la prima ad essere fondata in Europa) e Les Vins S.A.I.N.S. (Sans Aucun Intrant Ni Sulfite, ajouté sur toutes les cuvées, no solfiti aggiunti ma su tutte le bottiglie prodotte) in grado di raccontare un territorio, una filosofia di produzione e di vita così da esprimere vini eccellenti buoni e salubri.

Continuare nel contaminarsi vicendevolmente, discutere dei problemi comuni, condividere le soluzioni già trovate, confrontarsi in modo aperto, autentico, sincero, sono questi gli ingredienti per una crescita sostenibile del movimento che coinvolga e da cui possano beneficiarne tutti. Quello italiano è un movimento ormai riconoscibile, c’è tanto interesse intorno a sé, anche fuori dai confini, non a caso proprio 74 vignaioli di Vinnatur capitanati dal loro Presidente, Angiolino Maule, si stanno preparando ad una trasferta nella terra di Amleto per un grande banco d’assaggio che si terrà il 28 e 29 maggio.

“Da questa edizione di Villa Favorita abbiamo avuto la conferma che il resto del mondo guarda con grandissima attenzione al nostro lavoro. Abbiamo ricevuto numerosissime richieste – ci racconta lo stesso Angiolino – di organizzare eventi del genere in altre parti del mondo. È stato scelto di iniziare da Copenaghen perché la Danimarca è sicuramente uno dei mercati più ricettivi verso i vini naturali ed anche perché gode di una posizione ottimale in Europa, essendo facilmente raggiungibile da molti paesi”.

Sull’eticità e responsabilità sociale del vino non entro in merito, la lascio ad altri tavoli, mentre della splendida giornata trascorsa alla 14ª edizione di VILLA FAVORITA, nei pressi di Monticello di Fara – Sarego (Vicenza), non si può non parlare!

Con l’unica pecca di essere un po’ (troppo!) affollata, nonostante l’aumento del costo del biglietto a 25 euro, l’evento ha registrato circa 4000 presenze, tra semplici appassionati, personale Horeca e importatori, provenienti da ogni parte del mondo che han potuto assaggiare i vini dei 170 vignaioli presenti.

Inizio subito col botto dal Brut Rosé Pas Operé 2014 di Cà del Vént, annata molto difficile anche sulla collina a 400m s.l.m. dei Campiani di Cellatica, in quella Franciacorta che hanno abbandonato, ma solo come denominazione, dove quell’anno le uve a bacca rossa avevano difficoltà a maturare. Così hanno deciso di spumantizzare il Cabernet Sauvignon e il Merlot, come se fossero dei Pinot Nero, pressatura diretta, fermentazione del solo mosto fiore con lieviti indigeni, sosta in barrique vecchissime per 7 mesi, ma ponendo maggiore accortezza sul batonnage, infine hanno assemblato le 4 basi (rispettivamente 2 e 2) più sapide e minerali.

Anche in questo prodotto si ritrova la nuova direzione di Cà del Vént, grande potenza aromatica (in questo caso il fruttato prevale sul floreale), il solito uso sapiente di un legno per nulla invasivo, finezza olfattiva e persistenza gustativa, il tutto volto di più ad esaltare il territorio (terreni ricchi di calcare), le singole annate, il metodo di produzione ma anche i vitigni, visto che si divertono così tanto nel non utilizzare sempre quelli canonici, lo fan sembrare anche molto facile, visti gli ottimi risultati. E poi quando ti ritrovi al banco con Antonio e Flavio non puoi esimerti dal bere di nuovo il Revolution Brut Pas Operé 2012 (77% Chardonnay e 23% Pinot Nero) o il Change Man Blanc de Blancs Pas Operé 2012 (100% Chardonnay) che continuano la loro e inesorabile evoluzione in bottiglia. È evidente che per loro non si può più parlare di “FranciacortaRevolution” bensì di una “RealFranciacorta” che non ha paura di guardare e di confrontarsi con la Francia sempre nel rispetto di un metodo, di una tradizione, di un know how che parla la lingua della Champagne.

Weingut In Der Eben è una piccola azienda guidata dal giovane Urban Platter che, dopo gli studi a Laimburg e Weinsberg, oltre a diverse esperienze all’estero (principalmente Austria e Germania), è tornato a Cardano (BZ) per prendere in mano la cantina fondata all’inizio degli anni ‘80 dal padre Johannes in un vecchio maso, “Ebernof”, risalente al 17° secolo all’imbocco della Valle Isarco. Tre ettari e mezzo, circa 15.000 bottiglie prodotte, in vigna si segue il metodo di potatura Simonit&Sirch, avendo lavorato per loro per circa 5 anni, mentre si ispira a Josko Gravner per produrre i suoi vini. Sauvignon 2013, l’80% fa macerazione, matura 2 anni in tonneau, al naso complesso con note di frutta gialla matura e sentori di spezia, al palato è molto ricco ma anche caldo, ottimo il finale. Roter Malvasier 2013 è una Malvasia rossa in purezza, raro vitigno autoctono dell’Alto Adige (solo due aziende per un totale di meno di un ettaro) incrocio fra Perera e Schiava piccola. Piccoli frutti rossi, fiori appassiti, sentori smaltati ed eterei, al palato buon corpo e giustamente tannico. Sankt Anna 2014, Schiava in purezza, prende il nome dalla piccola chiesa del maso, ancora un po’ giovane, non sempre la Vernatsch va bevuta subito. Fermenta e affina in botti grandi di legno da 25 hl, frutti rossi accompagnati da note di tabacco e da sentori leggermente fumé, al palato freschezza e tannino ruvidino. Sankt Anna R 2010, cresce non lontano da una delle zone di elezione della Schiava, di fronte Santa Maddalena. Questa è la versione riserva, maggior estrazione, ricchezza e complessità, porta con sé una notevole eleganza. Suadente al palato, tannino fine ma presente, finale sorprendentemente lungo.

Sempre un bel bere le Garganega dalla terra del Soave DOC di Filippo Filippi. Il Vigne delle Brà 2014 nasce da vecchie vigne di circa 65 anni piantate dal nonno di Filippo subito dopo la seconda guerra mondiale su un terreno vulcanico-argilloso. Fermentazione e affinamento in acciaio sulle fecce fini per 18 mesi. Tanti fiori, frutta ed erbe aromatiche. Un sorso molto rotondo e dalla spiccata acidità. Il Monteseroni 2014 (IGT Veneto) proviene da un Cru (ancora più vecchio) calcareo-sabbioso esposto a sud. Ricchezza e complessità che già traspaiano dal suo intenso color oro, quasi da macerazione sulle bucce seppur vinificato in bianco e solo in acciaio. Interessante il finale agrumato.

Pacina è un convento del X° secolo sui Colli Senesi a Castelnuovo Berardenga, ma è anche il Dio Etrusco del vino (Pachna), ed è intorno a questo luogo, in una sorta tra sacro e profano, che nasce l’azienda agricola e vitivinicola Pacina. 22 ettari, di cui 10 a vigneto, e gli altri tra uliveti, campi e boschi, votati al rispetto più puro dell’ambiente circostante. Le prime riunioni di Legambiente si tennero proprio qui, organizzate da Enzo Tiezzi, il papà di Giovanna che oggi, insieme al marito Stefano e ai figli Maria Clotilde e Carlo Edoardo, porta avanti l’azienda di famiglia. La Cerretina 2015, Trebbiano Toscano e Malvasia del Chianti in parti uguali, macerato per una settimana in cemento, un anno in botti e barrique esauste sui propri lieviti, non filtrato né chiarificato. Al naso camomilla e fieno, al palato una lieve sensazione ossidativa non ancora bene integrata con una struttura abbastanza possente, ma è in bottiglia da soli 5 giorni (in vendita tra un paio di mesi). Il Secondo di Pacina 2014, Sangiovese con piccolissime aggiunte di Canaiolo e Ciliegiolo da vigne giovani (meno di 20 anni), fermentazione e affinamento in cemento per 18 mesi. Freschezza e carattere di un puledrino scattante ma ancora un po’ impacciato che crescerà col tempo, eppur già oggi regala una beva piacevole e gustosa. Pacina 2012, stesso uvaggio del Secondo ma da vigne vecchie (circa 60 anni), uscito sul mercato a gennaio dopo oltre 4 anni dalla vendemmia. 6 mesi di macerazione in vasca di cemento, matura 2 anni in tonneau e botte grande, e affina in bottiglia per circa 12 mesi. Terreni tufacei donano una vivace sapidità che gioca con un tannino vivo e un corpo potente. Pachna 2011 è il loro Sangiovese in purezza, prodotto solo in occasioni particolari da ricordare. In questo caso un pezzo della loro migliore vigna è maturata diversamente dal resto, come se i grappoli di alcuni filari fossero scottati dal sole, seppur non fosse una vendemmia tardiva. Solita vinificazione in cemento, maturazione per 3 anni in botte da 25 hl di rovere di Allier senza mai esser toccato oltre ad ulteriori 2 anni in bottiglia. 16,8% il volume in alcol, nessun zucchero residuo, anche se il calore accompagnato da una grande armonia che avvolge il palato e il tannino suadente e carezzevole regalano una sensazione di piacevole dolcezza, proprio come il succo di quei chicchi abbronzati dal sole.

 

Chiudiamo il Vinnatur di-vino con un esordiente di questa edizione, anche se non è per nulla una matricola del movimento naturale. Penso sia stato abbastanza facile rispettare il disciplinare di produzione e superare i controlli dell’associazione, giacché è qualche anno che Marina Palusci, l’azienda oleovitivinicola a gestione familiare di Massimiliano d’Addario, vignaiolo dal 2009 e mastro frantoiano da sempre, fa parte di Les Vins S.A.I.N.S.

Sei ettari di vigneti incastonati tra il Gran Sasso e la Majella, a Pianella in provincia di Pescara, impiantati solo con i vitigni autoctoni della zona (Passerina, Pecorino, Trebbiano Abruzzese e Montepulciano). Max, sì che è un fervente praticante e sostenitore del “vino naturale” ma non si è fatto mai trasportare da facili estremismi, e anche per questo motivo ha creato la linea Senzaniente®. Tre vini più immediati, più semplici da conoscere e da affrontare, che possano accontentare un maggior numero di palati possibili, con l’obiettivo di far avvicinare più persone a questo mondo, educarle agli Orange e ai “SAINS” con l’aiuto (per ora!) di un po’ di solfiti e del controllo delle temperature, ma sempre nel rispetto dell’unico ingrediente utilizzato sia in vigna sia in cantina, ossia l’uva!

Di questa linea fa parte il Pecorino 2015, che fermenta per ben 18 giorni e affina tre mesi in acciaio sulle fecce fini, a sfatare i falsi miti dei vini naturali è elegante, complesso, pulito sia al naso che al palato, semplicemente buono. Il Cerasuolo d’Abruzzo 2015, macera sulle bucce per una notte per poi affinare in vasche d’acciaio sui propri lieviti per 2 mesi, un rosato dal colore vivo e dal palato teso e energico. Il Montepulciano d’Abruzzo DOC 2015, raccolto a mano, otto mesi “sur lies” in acciaio, un concentrato di frutta e sapori della terra d’Abruzzo.

Per la cronaca la linea Senzaniente® è vinificata in un’apposita cantina, altrimenti l’azienda Marina Palusci non potrebbe essere “SAINS”.

Plenus, invece, sono vini da vendemmia notturna di uve selezionate a mano a fermentazione spontanea con lieviti indigeni, non filtrati, non stabilizzati e senza solfiti aggiunti. La particolarità è che, indipendentemente si parli di Passerina, Pecorino o Montepulciano d’Abruzzo, su tutti è utilizzata la chiusura a vite. Una sfida e una battaglia che Max porta avanti sia nella convinzione (giusta!) che anche i vini di grandissima qualità e longevità possono utilizzare questo tappo, sia osservando positivi esempi di alcuni eccellenti produttori italiani oltre che a mercati più maturi per questo tipo di chiusura, come Australia, Nuova Zelanda o i più vicini Austria e Germania.

Nei prossimi mesi uscirà sul mercato il suo vino “più estremo”, un Pecorino prodotto utilizzando l’ultimo metro di vino della cisterna di Pecorino Plenus 2014 e che verrà imbottigliato direttamente con le proprie fecce fini (circa il 20% rispetto al vino). Il suo nome sarà Caronte 2014, perché così come Caronte traghettava le anime nell’Ade così Fabio Ferrara dell’ Osteria del Tarassaco di Rivisondoli (detto appunto Caronte) ha avvicinato e traghettato per primo, ben 18 anni fa, gli Abruzzesi nel mondo dei vini naturali. Questo vino Max l’ha dedicato proprio a Fabio, che nel 2010 gli lanciò una sfida: voleva molto più carattere e personalità dai vini di Marina Palusci, poiché per quanto riguardava l’Olio EVO non avevada temere nessun confronto. Beh la sfida Max l’ha accettata e forse la vincerà: nel millesimo di prova (annata 2013, non in vendita) questo vino di personalità e carattere ne ha da vendere. Grandi soddisfazioni anche dalla Passerina macerata 15 giorni MILF 2015 (Most I’d Like to Ferment).

Oltre ai vigneti, la famiglia di Max si “prende cura” da generazioni dei secolari e silenziosi abitanti di questa terra, gli ulivi, e del loro frutto, quell’olio extravergine fonte di vita. 7 ettari per produrre un eccezionale “Oro Verde” dalle varietà Dritta (90% della produzione), Leccio del Corno, Leccino e Pendolino. Alchimia Monocultivar Leccio del Corno è un olio molto raffinato, elegante, si contraddistingue per il suo fruttato leggero. OlioMania è un blend delle loro 4 cultivar, biologico, ogni anno si utilizza un assemblaggio diverso poiché non è così facile, anzi tutt’altro, produrre olio biologico sull’Appennino. Caratterizzato da un fruttato medio e leggermente amaro. L’Uomo di Ferro è il loro prodotto più rappresentativo, monocultivar Dritta, molto tagliente con la persistenza dell’amaro che va oltre il minuto.

Infine Villa Favorita è stata anche l’occasione per assaggiare una selezione di sakè naturali e tradizionali della Yoigokochi Sake Importers, gli unici in Europa a importare un Junmaishu (“Puro vino di riso”) prodotto da solo riso, senza l’aggiunta di alcol, zucchero o sostanze aromatiche di sintesi, non filtrato, non pastorizzato e prodotto da piccoli artigiani giapponesi. In Italia sono distribuiti da Velier, l’azienda di importazione e distribuzione di alcolici in Italia di Luca Gargano, fondata a Genova nel 1947 e che proprio in questi giorni ha festeggiato insieme a agenti, clienti e produttori a Milano i 70 anni di attività.

Daigo no Shizuku di Terada Honke è prodotto rispettando una ricetta tradizionale del 12° secolo. Un sakè da aperitivo grazie alle sue note agrumate e una buona freschezza al palato. Stesso produttore per Katori 90, il numero ad indicare la percentuale di riso integrale utilizzato, un sakè tradizionale intenso, molto persistente che si differenzia per una nuance fumé. Kizan Sanban di Chikuma Nishiki Shuzo minimo un 40% di riso raffinato, è un sakè delicato, dalle note fruttate e floreali, che si esaltano se bevuto freddo. Shizenmai Sparkling è un sakè frizzante prodotto da Kidoizumi Shuzo, una sorta di metodo classico, dove i sentori di rifermentazioni in bottiglia sono molto intensi e al palato risulta molto secco. Delicati sentori vegetali caratterizzano il biologico Tentaka Orgnic prodotto da una delle cantine giapponesi più rappresentative Tentaka Shuzo, un sakè a tutto pasto. Mutemuka (dell’omonima shuzo) è complesso, aromatico, a tratti erbaceo, al palato risulta molto strutturato. Alla scoperta dell’Umami (il quinto gusto) grazie a due sakè millesimati, caratteristica abbastanza insolita per questo mondo. Il Biden 1999 di Inoue Gomei invecchia 15 anni in damigiane tonde di 6 litri al buio e a temperatura ambiente. Elegante, morbido e molto sapido. Omiji Kijoushu 1978 di Omi Shuzo addirittura per 38 anni, inoltre il riso fermenta direttamente nel sakè. Definito da meditazione ricorda il Porto con le sue morbidezze e le note ossidative. Si chiude in dolcezza con Heiwa Shuzo e i suoi Yuzu e Suppai Umeshu. Il primo nasce dall’infusione dei piccoli agrumi tradizionali giapponesi simili al bergamotto mentre il secondo è ottenuto dalla macerazione di una particolare varietà di prugne infuse quando sono molto acerbe.

Vinnatur Next Stop: Copenaghen 28 e 29 maggio!

[Photo Credit: Antonio Cimmino]

 

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